Come trasformare un refuso industriale nella presa di coscienza dei meccanismi che regolano la società della comunicazione. Una pillola per non dormire mai, desiderio di molti ma incubo perché uccide i sogni, è il pretesto che Natalino Balasso (Vito Cosmai sul palco) e la bravissima Marta Dalla Via -nei panni di Gioia Maina, anzi Mai'na Gioia- sfruttano per uscire dal personaggio e recitare se stessi nel metateatro, dopo un'ora più che propedeutica e francamente eccessiva. "Delusionist" è la rivelazione: sia della pazienza di aspettare una vera trama, per quanto concettuale e metodica, quasi scientifica. Sia per chi non conosceva le qualità performative dell'attrice di Tonezza del Cimone, abile a maneggiare registri diversi nell'arco della stessa scena: vien quasi da pensare che la mentorship di Balasso -il solito Balasso, tra battuta dialettale, nonsense linguistico e pamphlet da youtube- si metta in gioco volentieri per far risaltare l'espressione della partner artistica.
"Delusionist" affronta le tecniche della comunicazione commerciale (e politica...) contemporanea, attraversa i concetti di naming e storytelling, porta all'emancipazione da piani e target per rivelare l'intima essenza umana, in quanto tale non manipolabile. Non Savonarola ma più Carmelo Bene, cassandra non creduta, facile pronosticatore delle derive prese e non più ricomponibili. In scena non c'è niente, come nella tradizione del teatro Don Bosco le cui assi obbligano alla riduzione delle quinte; poca -benedetta- interazione col pubblico, col netto divario tra il riso forzato della prima parte e il gelo del termine che inchioda. Chi aspetta "Delusionist" per una satira del quotidiano magari la troverà altrove, questo è un saggio di McLuhan fatto e finito, ma scritto e interpretato nel profondo Veneto che già non è più quello che vi viene antropologicamente descritto. Per due ore a teatro, anche se il prologo andrebbe asciugato, vale la pena fare lo sforzo e uscirne discutendo.
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